Prefazione ad un blog… a venire
Benvenuto.
Quella che stai leggendo è una specie di Prefazione a quello che sarà il mio blog.
In quanto Prefazione, essa conterrà alcune informazioni di carattere generale, tra cui alcune indicazioni su ciò che troverai nel blog, alcune dichiarazioni sugli scopi che, in esso e tramite esso, proverò a perseguire, alcune esplicitazioni sui modi e i mezzi che utilizzerò per perseguirli, infine alcune “note personali” circa il suo autore, le sue motivazioni, le sue conoscenze, il suo modo di ri-cercare.
Non mi dilungo oltre e comincio subito col darti l’ultima di queste informazioni, ovvero quelle che ho appena chiamato “note personali”.
COSA SIGNIFICA CREDERE… NELLA VERITÀ
Nella Lettera di presentazione con cui si apre la home del mio sito mi sono definito «un ricercatore (indipendente) in filosofia». Poco sotto ho integrato questa definizione spiegando che ciò che cerca un ricercatore di questo genere è la Verità.
Capisco bene che, tanto la definizione che ho dato di me stesso, quanto la sua integrazione, possano apparire ambigue e stravaganti. Per questo credo sia opportuno spiegarle un minimo.
Come detto, ciò che cerco è la Verità.
Questo significa almeno due cose.
La prima è che la Verità in quanto meta del mio cercare non l’ho ancora raggiunta.
La seconda è che, dato che sono alla Sua ricerca, io credo che Essa sia.
Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità.
F. Nietzsche
COSA SIGNIFICA CREDERE… NELLA VERITÀ
Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità.
F. Nietzsche
Nella Lettera di presentazione con cui si apre la home del mio sito mi sono definito «un ricercatore (indipendente) in filosofia». Poco sotto ho integrato questa definizione spiegando che ciò che cerca un ricercatore di questo genere è la Verità.
Capisco bene che, tanto la definizione che ho dato di me stesso, quanto la sua integrazione, possano apparire ambigue e stravaganti. Per questo credo sia opportuno spiegarle un minimo.
Come detto, ciò che cerco è la Verità.
Questo significa almeno due cose.
La prima è che la Verità in quanto meta del mio cercare non l’ho ancora raggiunta.
La seconda è che, dato che sono alla Sua ricerca, io credo che Essa sia.
Non so se tu creda o meno che questo “qualcosa” che chiamiamo Verità sia o possa essere. In fondo, importa poco. Questo perché, in fin dei conti, sia che si creda sia che non si creda in un qualcosa (nel nostro caso, nella Verità), in entrambi i casi abbiamo a che fare sempre e solo, né più e né meno, con delle credenze.
Credere, del resto, è quell’atteggiamento che accompagna costantemente ciascuno di noi in ogni nostro relazionarci col mondo e con gli altri. Anche se per lo più non lo sappiamo, è sempre su una qualche credenza che fondiamo le nostre azioni, è sempre cioè da un particolare credere che il nostro agire viene sostenuto e guidato, tanto che – potremmo affermare – è principalmente grazie a ciò in cui crediamo che il mondo assume un senso, una forma e una direzione ben specifici, che è in base a ciò che crediamo il mondo sia che cogliamo di esso alcuni suoi aspetti ma non altri, alcuni significati ma non altri, alcune possibilità ma non altre.
Credere è l’atteggiamento fondamentale attraverso cui il mondo non ci appare come un caos incontrollabile privo di senso.
È grazie a ciò che crediamo il mondo sia che possiamo compiere azioni coerenti, sensate, dotate di un qualche scopo.
Ogni credere implica quindi al contempo un fondare e un affidarsi ad un particolare fondamento, sia che questo fondamento lo si conosca per quello che è, sia che lo si ignori del tutto in quanto tale.
Tuttavia, ogni fondare è sempre, inevitabilmente, un fondare sull’abisso. Ciò vuol dire che ogni nostra fondazione non può che essere parziale, limitata, incompleta, instabile, mai definitiva.
Che poi un certo fondamento possa suggerire più parvenza di solidità rispetto ad un altro, che un certa credenza possa sembrare più corretta e condivisibile rispetto ad un’altra, non toglie nulla al fatto che è sempre sull’abisso (del Possibile) che fondiamo quella che chiamiamo ‘realtà mondana’.
Insomma, ogni azione che compiamo nel mondo trova il suo senso, la sua forma, la sua direzione sempre e solo grazie al modo peculiare che abbiamo di affidarci ad un qualche supposto fondamento, cioè, in definitiva, sempre e solo in base a qual è il nostro peculiare credere. Poiché però, come detto, non vi è fondamento ultimo, poiché ogni fondare è sempre un fondare sull’abisso, nessuna fondazione potrà mai affermare di essere quella giusta, quella definitiva, né tantomeno potrà mai arrogarsi il diritto di dichiarare errata una fondazione che è ad essa alternativa, contraria o contraddittoria. Ogni fondazione, cioè, come detto, è sempre inevitabilmente limitata, incompleta, instabile, in definitiva illusoria, quindi errata.
Da tutto questo emerge che, da un lato tutti noi non possiamo che errare (nei due sensi del termine) ogni volta che diamo al mondo questo o quel senso, questa o quella forma, questo o quello scopo; dall’altro che è sempre attraverso l’atteggiamento del credere in quanto fondare e in quanto affidarsi ad un particolare fondamento che il mondo e la realtà assumono un senso, una forma e una direzione ben particolari; senso, forma e direzione che sono il nostro senso, la nostra forma, la nostra direzione particolari; senso, forma e direzione che cioè, se osservati bene, indicano molto più qualcosa di noi stessi che non del mondo per ciò che esso veramente è.
COS’È LA VERITÀ: CARATTERISTICHE E TRATTI DISTINTIVI
Capisco che ciò che sto dicendo possa provocare in te disorientamento e incredulità. Spero che, in futuro, magari anche in questo stesso blog, ci sarà modo di approfondire meglio la questione. Per ora mi preme mettere in evidenza che quanto appena detto ha a che fare con uno degli argomenti di questa Prefazione, cioè con me in quanto ri-cercatore della Verità.
Come già puntualizzato, nonostante io creda nella Verità, nonostante cioè il senso che ritrovo nel mondo sia guidato da questo credere inteso anche come un fondare, la Verità in quanto meta del mio cercare non l’ho ancora conquistata.
Questo tuttavia non significa che la mia ricerca sia orientata verso una meta vaga ed evanescente, frutto soltanto di una credenza stravagante e priva di ragione; né che il mio cercare sia un vano brancolare nel buio. Qualcosa che caratterizza essenzialmente la meta e il motivo del mio cercare, infatti, posso dire di saperla.
Arrivare alla formula che cerchiamo tutti: PLURALISMO = MONISMO, passando per tutti i dualismi che sono il nemico, ma il nemico assolutamente necessario, il mobile che non cessiamo di spostare.
Deleuze e Guattari
COS’È LA VERITÀ: CARATTERISTICHE E TRATTI DISTINTIVI
Arrivare alla formula che cerchiamo tutti: PLURALISMO = MONISMO, passando per tutti i dualismi che sono il nemico, ma il nemico assolutamente necessario, il mobile che non cessiamo di spostare.
Deleuze e Guattari
Capisco che ciò che sto dicendo possa provocare in te disorientamento e incredulità. Spero che, in futuro, magari anche in questo stesso blog, ci sarà modo di approfondire meglio la questione. Per ora mi preme mettere in evidenza che quanto appena detto ha a che fare con uno degli argomenti di questa Prefazione, cioè con me in quanto ri-cercatore della Verità.
Come già puntualizzato, nonostante io creda nella Verità, nonostante cioè il senso che ritrovo nel mondo sia guidato da questo credere inteso anche come un fondare, la Verità in quanto meta del mio cercare non l’ho ancora conquistata.
Questo tuttavia non significa che la mia ricerca sia orientata verso una meta vaga ed evanescente, frutto soltanto di una credenza stravagante e priva di ragione; né che il mio cercare sia un vano brancolare nel buio. Qualcosa che caratterizza essenzialmente la meta e il motivo del mio cercare, infatti, posso dire di saperla.
Cos’è che so, dunque, della Verità?
So che la Verità è Una. Nulla cioè può esserLe esteriore. In ogni Sua realizzazione, ogni volta è racchiuso tutto ciò che vi è di essenziale. Essa, insomma, ogni volta che è realizzata, è sempre con-prensiva di Tutto.
Questo non significa però che Essa sia una specie di grande insieme (il più grande che possa esistere) nel quale tutto è con-preso e al quale ogni cosa ap-partiene. Essa, la Verità, semplicemente non è un qual-cosa, cioè non è un ente, fosse anche un ente di ragione qual è, appunto, l’insieme. Con ciò voglio dire che Essa non può essere individuata in nessuna identità né tantomeno in nessuna idea, non può essere analizzata come fosse un oggetto di studio, non può infine essere posseduta come si possiede una cosa.
Dato che Essa è Una ma che al contempo non è mai “cosa”, “oggetto” o “ente”; dato poi che in ogni Sua realizzazione, ogni volta, è con-preso Tutto, cioè tutto ciò che vi è di essenziale; dato infine che Nulla è al di fuori della Sua realizzazione, Essa, la Verità, non può che con-prendere in Sé stessa anche quella che qui – approssimando – chiamo l’“istanza soggettiva” artefice della Sua realizzazione; “istanza” che – di nuovo approssimando – in definitiva ciascuno di noi può essere.
Questa particolare “istanza”, che è sì l’artefice della realizzazione della Verità, ma che è anche, al contempo, Suo veicolo e Suo risultato (è solo nella Verità, infatti, che questa istanza ri-trova la sua più piena e vera realtà) non può che con-partecipare in maniera essenziale alla Sua essenza. Insomma la Verità, per essere ciò che è, deve necessariamente con-prendere in Sè l’“istanza soggettiva” che di Essa è sia artefice che veicolo che risultato.
Per questo, chi cerca la Verità sa che Essa può essere compresa solo se NON ci si pone nei Suoi confronti in maniera esteriore, cioè distaccata. Piuttosto, la Verità, per come qui è intesa, va sperimentata in prima persona, cioè esperita in maniera viva e con-partecipata. Essa, insomma, è anche e sempre Esperienza.
Per racchiudere in un termine unico quanto appena detto, riprendo un concetto fondamentale del pensiero di Martin Heidegger – che qui posso solo nominare – e dico che la Verità è prima di tutto Ereignis, cioè Evento–appropriazione.
La verità è Una. Nulla Le è esteriore. Essa con-prende in sé tutto ciò che è essenziale, compresa l’”istanza soggettiva” che La realizza.
Continuiamo.
Essendo la Verità sempre anche esperienza, Essa non può che essere anche e sempre situata.
Essere–situata, in questo caso, non significa però soltanto che Essa, la Verità, sia individuabile in alcune, precise, coordinate spazio-temporali, chiaramente riconoscibili e facilmente condivisibili. Ben prima dello spazio e del tempo in quanto unità di misura convenzionali, infatti, la Verità trova la Sua realizzazione in un dove e in un quando che sono principalmente quelli di una singolare esperienza vissuta, vale a dire in un qui e in un ora esistenzialmente caratterizzati, in un qui-e-ora che, prima di essere universalmente individuabile, è un qui-e-ora singolare, unico e irripetibile – come ogni esperienza, del resto, in fondo è.
Se quindi da una parte è vero che in ogni attimo a ciascuno di noi, in quanto “istanza soggettiva situata”, si offre l’occasione di esperire ciò che qui sto chiamando ‘Verità’; se è vero che ad ogni nostro passo a noi viene donata la possibilità di essere gli artefici della Sua realizzazione; tuttavia non ogni nostro passo né ogni nostro attimo sono adatti a tale realizzazione. Nonostante infatti il qui e l’ora siano, ovunque e costantemente, ciò che abbiamo di più vicino, il qui e l’ora nei quali la Verità può realizzar-Si sono (anche) la meta più lontana e più difficile che ci è dato (tentare di) conquistare. Cercare la Verità significa allora anche mettersi in cammino verso questo qui e questo ora singolari, pre-disporsi ad Essa in quanto esperienza particolarissima, rendere ogni passo e ogni attimo che ci troviamo a vivere sempre più fecondi e sempre più adatti per la Sua realizzazione. E ciò risulta possibile solo se siamo in grado di mutare il nostro personale modo d’essere in vista di questa particolare meta.
Non ogni nostro passo né ogni nostro attimo sono adatti alla realizzazione della Verità. Il qui-e-ora particolarissimi in cui Essa Si realizza sono la meta di un percorso lungo e difficile.
Dato tutto questo – dato cioè che la Verità è Una, che Nulla Le è esteriore, che Essa è Evento–appropriazione, cioè esperienza singolare e situata realizzata per il tramite di un’”istanza soggettiva” che si rapporta al mondo in un modo particolarissimo – Essa, la Verità, è sempre anche Vera.
Dire che la Verità è Vera non è una tautologia né una ripetizione. Anzi, dire che la Verità è Vera contribuisce a far emergere un Suo ulteriore carattere che, fino ad ora, è rimasto implicito.
Lo esplicito.
In ogni realizzazione della Verità è sempre con-preso Tutto (cioè: tutto ciò che vi è di essenziale). Ciò significa che Essa, la Verità, è reale più di ogni altra realtà che possiamo considerare tale, che Essa è sempre concreta, vissuta, con–partecipata, completa di ogni aspetto essenziale dell’Essere (il quale, per Suo tramite, manifesta così anche la sua realtà più piena), ma anche, allo stesso tempo, che Essa è sempre singolare, unica, irripetibile (come del resto ogni Evento degno di questo nome in sostanza deve essere). In Essa, in definitiva, tanto il sapere universale quanto il “sapere” (del) particolare sono pienamente compiuti. Quando cioè la Verità è, cioè è realizzata, Essa non può che risultare incontrovertibile, indubitabile, incorruttibile, completa, in una parola: Vera.
La Verità è sempre (anche) vera. In Essa si compiono tanto il sapere universale quanto quello particolare. Essa cioè è reale e vera più di ogni altra “realtà”.
Concludo questo breve percorso su ciò che posso dire di conoscere della Verità rischiando una Sua definizione – che non potrò qui chiarire – e dico, in maniera ambigua ed evocativa, che la Verità è il Simbolo ricomposto dell’Essere.
I MODI D’ESSERE, DI FARE E DI PENSARE DI CHI CERCA LA VERITÀ
La filosofia è non una dottrina, ma un’attività
L.Wittgenstein
Spero che quanto appena detto non ti abbia sconvolto. Anzi, che possa essere stato per te un minimo di aiuto per farti un’idea di ciò che è la Verità in quanto meta del mio cercare.
Non penso ci sia qui motivo di spiegare il perché di questo mio particolare (ri)cercare. Né che qui sia possibile indicare più approfonditamente gli studi e le riflessioni che mi hanno portato a delineare i tratti della Verità appena indicati.
Penso invece che esplicitare un minimo il come che guida la mia ricerca possa tornare utile per inquadrare meglio gli scopi che tramite questo blog vorrei perseguire.
Inizio a fare questo spendendo qualche parola sul modo d’essere con cui conduco questa mia ricerca anche e soprattutto al di fuori del blog, cioè nel concreto della mia esperienza.
Come accennato anche in una sezione della home del mio sito, questo modo d’essere mi piace chiamarlo “atteggiamento filosofico”.
Riprendo ciò che lì ho scritto e ribadisco che l’atteggiamento proprio di chi fa filosofia deve essere un atteggiamento ben-disposto ad “aprirsi al Possibile”, un atteggiamento cioè capace di non dare mai nulla per scontato, assodato o certo nel suo senso, un atteggiamento quanto più possibile libero da pre-giudizi o prese di posizione nette o definitive, in definitiva in grado di mettere in discussione ciò che di solito chiamiamo “Realtà”.
Questo atteggiamento – che deve saper «evitare di mettere limiti al Possibile» ma anche riuscire a «considerare limitato ciò che di solito chiamiamo Reale» – si esprime in tre particolari modi di fare e di pensare che caratterizzano il mio cercare.
Questi tre modi sono l’errare, il tentare e lo sperimentare.
Li spiego brevemente.
La filosofia è non una dottrina, ma un’attività
L.Wittgenstein
Spero che quanto appena detto non ti abbia sconvolto. Anzi, che possa essere stato per te un minimo di aiuto per farti un’idea di ciò che è la Verità in quanto meta del mio cercare.
Non penso ci sia qui motivo di spiegare il perché di questo mi particolare (ri)cercare. Né che qui sia possibile indicare più approfonditamente gli studi e le riflessioni che mi hanno portato a delineare i tratti della Verità appena indicati.
Penso invece che esplicitare un minimo il come che guida la mia ricerca possa tornare utile per inquadrare meglio gli scopi che tramite questo blog vorrei perseguire.
Inizio a fare questo spendendo qualche parola sul modo d’essere con cui conduco questa mia ricerca anche e soprattutto al di fuori del blog, cioè nel concreto della mia esperienza.
Come accennato anche in una sezione della home del mio sito, questo modo d’essere mi piace chiamarlo “approccio filosofico”.
Riprendo ciò che lì ho scritto e ribadisco che l’approccio proprio di chi fa filosofia deve essere un approccio ben-disposto ad “aprirsi al Possibile”, un approccio cioè capace di non dare mai nulla per scontato, assodato o certo nel suo senso, un approccio quanto più possibile libero da pre-giudizi o prese di posizione nette o definitive, in definitiva in grado di mettere in discussione ciò che di solito chiamiamo “Realtà”.
Questo approccio – che deve saper «evitare di mettere limiti al Possibile» ma anche riuscire a «considerare limitato ciò che di solito chiamiamo Reale» – si esprime in tre particolari modi di fare e di pensare che caratterizzano il mio cercare.
Questi tre modi sono l’errare, il tentare e lo sperimentare.
Li spiego brevemente.
- Errare, come accennato più su, è un termine che veicola due diverse sfumature di senso, e cioè ‘errare’ come ‘vagare’ ed ‘errare’ come ‘sbagliare’, come ‘commettere errori’. Dato che la meta del mio cercare è la Verità per come sopra è stata delineata, e dato che è essenziale dell’approccio filosofico il non dare mai nulla per assodato, di punti fermi nel mio percorso non posso dire di averne molti. Per chi intraprende il percorso verso la Verità, e lo intraprende facendo proprio il modo d’essere di chi fa filosofia, infatti, ogni aspetto del mondo con cui ha a che fare non può mai essere determinato in maniera certa e definitiva. Per chi fa filosofia, e per mezzo della filosofia cerca la Verità, ogni aspetto del mondo è sempre plurivoco, polivalente, mai completamente determinabile, in sostanza mai del tutto “decibile”. Per questo potremmo dire che chi fa filosofia, nel suo ri-cercare si muove in una specie di labirinto – che è il labirinto del Senso – e, come si sa, in un labirinto non si può che errare, cioè perdersi, vagare e, in questo vagare, non si possono non commettere errori. Inoltre, chi, come me, erra nel labirinto del Senso alla ricerca della Verità in quanto (anche) Esperienza, sa che questo commettere errori è un aspetto essenziale del proprio cammino, che cioè l’erranza è parte costituente di questo particolare percorrere. Solo evitando di pre-determinare la propria meta entro significati convenzionali e di per-seguirla seguendo “strade comuni” – anche al rischio di perdersi, anche al rischio di commettere errori – ci si può realmente approssimare a quella meta singolare che è la Verità, cioè a quel qui-e-ora particolarissimi di cui ho detto sopra, nei quali la Verità Si realizza.
- Tentare anche è un termine dal senso duplice e complesso. Il verbo ‘tentare’, infatti, può essere utilizzato per esprimere sia il significato di ‘tentativo’ che quello di ‘tentazione’, a seconda che il senso dell’atto del tentare voglia determinare principalmente questo atto come espressione della volontà di un soggetto (‘tentare’ come ‘tentativo’) o voglia dare preminenza al soggetto, empirico o ideale che sia, nei confronti del quale l’atto è rivolto (‘tentare’ come ‘tentazione’). Alla luce di quanto appena detto, ‘tentare la Verità’ – un po’ come accade nell’espressione figurata “tentare la fortuna” – significa allora, e allo stesso tempo, sia compiere dei tentativi per conoscerLa, sia, contemporaneamente, provare a rendere questi tentativi motivo di tentazione per Essa stessa. Essere tentazione per la Verità, insomma, vuol dire agire nei Suoi confronti come se Essa dovesse essere conquistata, come se Essa dovesse essere stimolata per la Sua venuta, come se Essa richiedesse da parte nostra di essere persuasa per poter ad–venire. Nonostante ciò possa apparire stravagante e persino ingiustificato, ciò è tuttavia possibile, ed è possibile principalmente cambiando il nostro modo d’essere nei confronti di ciò che ci circonda, cioè il nostro modo di fare esperienza del mondo.
Quanto appena detto mi porta così a introdurre il senso del terzo modo di fare e di pensare che caratterizza chi cerca la Verità attraverso la filosofia, e cioè lo sperimentare.
Errare, tentare, sperimentare sono i modi di fare che guidano la mia ricerca. Tutti e tre hanno a che fare con la necessità di evitare prese di posizioni nette e definitive nei confronti di ciò di cui faccio esperienza.
- Ogni sperimentare esprime sempre un mettere alla prova. In questo caso, però, ciò che è messo alla prova non è mai (solamente) l’oggetto che è da conoscere. Piuttosto qui il mettere alla prova implica (soprattutto) un mettere sé stessi alla prova in quanto parte essenziale di ciò che si vuole conoscere, un mettersi in gioco in quanto soggetti della sperimentazione, nel doppio senso di questo genitivo, e cioè sia come soggetti-attori che compiono la sperimentazione, sia come soggetti-oggetti da sperimentare, cioè come soggetti sottoposti, assoggettati alla sperimentazione stessa. Per fare questo è necessario rinunciare ad un’idea di sé stessi, e di sé stessi in quanto soggetti, che sia chiara, fissa e ben definita -; cosa questa che comporterebbe una limitazione e un vincolo rispetto alle in(de)finite possibilità che ogni soggettività comporta – cioè è necessario continuare a mettersi costantemente in discussione, sia nei confronti di ciò di cui si fa esperienza (proprio sé compreso), sia in vista del motivo e della ragion d’essere di questa esperienza stessa (e cioè, in vista della Verità come meta e come Esperienza particolarissima). Ri-trovare (per comprendere) sé stessi nel mondo e, al contempo, ri-trovare (per comprendere) il mondo in sé stessi, il tutto in maniera quanto più possibile “aperta al Possibile”, potrebbe essere la formula con cui descrivere questo particolare sperimentare.
COSA PUOI ASPETTARTI DA QUESTO BLOG
Mi avvio a concludere questa lunga e complessa Prefazione.
Detto dei tre modi che caratterizzano l’approccio, di tipo filosofico, di chi, come me, cerca la Verità, mi preme ora dire qualcosa anche su ciò che potrai aspettarti seguendo questo mio blog.
Come ho esplicitato anche, e di nuovo, nella home di questo sito, per fare filosofia è necessario far proprio un atteggiamento filosofico per mezzo del quale esperire il mondo. Questo atteggiamento filosofico non è che lo sguardo attraverso cui una particolare filosofia osserva il mondo e, così, lo interpreta, gli dà senso. Insomma, far proprio l’atteggiamento filosofico significa far proprio il punto di vista di una data filosofia, mettere in pratica il modo con cui questa o quella filosofia dà senso al mondo, praticare ciò che una particolare filosofia ha da insegnarci in termini sia di presupposti sui quali si fonda una certa idea di mondo, che di metodi e modalità di selezione, interrogazione ed interpretazione dei vari aspetti che in tale mondo le si offrono. Far proprio l’atteggiamento filosofico significa cioè saper rendere concretamente applicabile una particolare filosofia.
Perché dico “particolare” filosofia?
Perché non solo ogni filosofia si approccia al mondo in una maniera sua peculiare, ma anche, e di conseguenza, perché ogni filosofia non può che essere particolare, dunque selettiva, parziale, limitata. Essa, per quanto tenti di fondare se stessa su un fondamento saldo e certo, è sempre sull’abisso (del Possibile) che fonda il suo fare. (Cosa questa che, per inciso e come già detto, caratterizza ogni nostra attività, ogni nostro dar senso al mondo. La differenza è che la filosofia è consapevole di questo.)
Quanto appena detto ci dice che non c’è né mai ci potrà essere una filosofia ultima.
Tuttavia quanto appena detto ci dice anche che, malgrado ogni filosofia sia destinata alla parzialità, all’instabilità, all’incompletezza, l’uomo non ha ancora rinunciato a filosofare; ci dice cioè che il filosofare è un’attività di cui l’uomo non può fare a meno; che, in definitiva, in questa attività si esprime un bisogno essenziale di ciascuno di noi in quanto esseri umani.
Detto diversamente, nonostante l’essere umano sappia che mai potrà formulare una filosofia ultima, egli continua comunque ad interrogare sé stesso e il mondo perché continua a ri-trovare nel mondo e in se stesso sempre nuovi aspetti che richiedono di essere interrogati. E, in questa interrogazione, egli esprime la sua essenza più profonda.
Per questo ogni atteggiamento filosofico, anche il più ingenuo, anche il più superficiale, rappresenta uno degli atti umani di più alto valore.
Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta
Platone
COSA PUOI ASPETTARTI DA QUESTO BLOG
Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta
Platone
Mi avvio a concludere questa lunga e complessa Prefazione.
Detto dei tre modi che caratterizzano l’approccio, di tipo filosofico, di chi, come me, cerca la Verità, mi preme ora dire qualcosa anche su ciò che potrai aspettarti seguendo questo mio blog.
Come ho esplicitato anche, e di nuovo, nella home di questo sito, per fare filosofia è necessario far proprio un atteggiamento filosofico per mezzo del quale esperire il mondo. Questo atteggiamento filosofico non è che lo sguardo attraverso cui una particolare filosofia osserva il mondo e, così, lo interpreta, gli dà senso. Insomma, far proprio l’atteggiamento filosofico significa far proprio il punto di vista di una data filosofia, mettere in pratica il modo con cui questa o quella filosofia dà senso al mondo, praticare ciò che una particolare filosofia ha da insegnarci in termini sia di presupposti sui quali si fonda una certa idea di mondo, che di metodi e modalità di selezione, interrogazione ed interpretazione dei vari aspetti che in tale mondo le si offrono. Far proprio l’atteggiamento filosofico significa cioè saper rendere concretamente applicabile una particolare filosofia.
Perché dico “particolare” filosofia?
Perché non solo ogni filosofia si approccia al mondo in una maniera sua peculiare, ma anche, e di conseguenza, perché ogni filosofia non può che essere particolare, dunque selettiva, parziale, limitata. Essa, per quanto tenti di fondare se stessa su un fondamento saldo e certo, è sempre sull’abisso (del Possibile) che fonda il suo fare. (Cosa questa che, per inciso e come già detto, caratterizza ogni nostra attività, ogni nostro dar senso al mondo. La differenza è che la filosofia è consapevole di questo.)
Quanto appena detto ci dice che non c’è né mai ci potrà essere una filosofia ultima.
Tuttavia quanto appena detto ci dice anche che, malgrado ogni filosofia sia destinata alla parzialità, all’instabilità, all’incompletezza, l’uomo non ha ancora rinunciato a filosofare; ci dice cioè che il filosofare è un’attività di cui l’uomo non può fare a meno, che, in definitiva, in questa attività si esprime un bisogno essenziale di ciascuno di noi in quanto esseri umani.
Detto diversamente, nonostante l’essere umano sappia che mai potrà formulare una filosofia ultima, egli continua comunque ad interrogare sé stesso e il mondo perché continua a ri-trovare nel mondo e in se stesso sempre nuovi aspetti che richiedono di essere interrogati. E, in questa interrogazione, egli esprime la sua essenza più profonda.
Per questo ogni atteggiamento filosofico, anche il più ingenuo, anche il più superficiale, rappresenta uno degli atti umani di più alto valore.
È proprio questo valore essenzialmente umano che in questo blog vorrei provare ad esplicitare, a mettere nero su bianco.
Per fare ciò proverò a coinvolgerti e a stimolarti a far tuo questo o quell’atteggiamento filosofico, questa o quella idea di mondo, questo o quel modo di interrogare l’esistente, al fine di mostrarti la pluralità di punti di vista attraverso cui il mondo può essere interpretato, esperito, vissuto e, così, indicarti anche che è solo facendo nostra questa pluralità di visioni che possiamo vivere una vita più piena, libera e consapevole.
Solo riconoscendo l’inesauribilità del mondo (del senso) possiamo relazionarci ad esso in maniera consapevole. Solo riconoscendo la plurivocità e la polivalenza implicita in ogni nostra esperienza possiamo realizzare la nostra più profonda essenza. Solo continuando ad interrogare ciò che c’è, e ad interrogarci in ciò che siamo, possiamo ri–trovare nuovi valori dell’esistere, riconoscere cioè l’esistenza come opportunità e come dono inestimabile. Perché per essere all’altezza di ciò che essenzialmente siamo bisogna saperci aprire a ciò è Altro da noi – sia tale Altro un modo di pensare, di fare o di essere – e, così, realizzare nel concreto che è nel Possibile, più che nel Reale, che costantemente ci muoviamo.
Concludo questa Prefazione ribadendoti che quanto hai appena letto è ciò che potrai aspettarti di trovare seguendo il mio blog. Questa cioè è la dichiarazione d’intenti con cui chiudo la sua Prefazione.
Per ora ti ringrazio di essere arrivato fino in fondo a questo lungo e anche complesso primo articolo, con la promessa che gli altri saranno più “accessibili” ma non per questo meno “filosofici”.
Spero che ogni tanto tornerai a visitare il mio sito.
Ancora grazie
Andrea
sostieni il mio progetto
Questo progetto lo porto avanti nei ritagli del mio tempo.
Anche un piccolo gesto può contribuire a darmi la giusta motivazione per continuare a farlo crescere.
contattami
Se ciò che hai letto fin qui in qualche modo ti ha interessato o incuriosito, non esitare a contattarmi.
Sarò ben lieto di rispondere alle tue richieste.